INTRODUZIONE
Si fa ben dire oggi, giustamente, dell’importanza per le aziende di essere inclusive, in rispetto della dignità di ogni singola persona, che in quanto tale ha lo stesso diritto di tutte le altre ad essere parte attiva nel mondo del lavoro.
Questo perché inclusione è sinonimo di equità e di parità, valori molto importanti per il progresso delle società del 2000.
Inoltre, si ha la coscienza che l’acquisizione dell’inclusività non può che andare di pari passo con l’accoglienza delle diversità, il che permette di scongiurare ogni forma di discriminazione. Gli esempi sono numerosi: diversità di genere, di orientamento sessuale, di provenienza geografica, per farne alcuni. Tutto ciò viene sintetizzato all’interno dell’acronimo DEI (Diversity, Equity & Inclusion).
Qui, ci si chiede in che modo debba favorirsi l’inclusione all’interno del processo di selezione delle aziende, il quale rappresenta la soglia di ingresso per i dipendenti e, quindi, il primo luogo di accoglienza all’interno della casa-azienda.
CORPO
La coscienza generale è che l’inclusione delle diversità all’interno del processo di selezione sia sempre un win-win, sia per il candidato sia per l’azienda. Per il candidato perché non trova ostacoli a determinarsi come professionista; per l’azienda perché «è dimostrato» che la diversità dei punti di vista permette di aumentare i profitti aziendali. Infatti, «la diversità porta alla creatività, alla stimolazione, all’impegno, alla sfida continua, alla proattività, all’apprendimento, al lavoro insieme e, in definitiva, alla soddisfazione del team. E questa è la chiave della motivazione al lavoro e della produttività».
Si è convinti, inoltre, che la diversità non generi mai conflitto, perché anzi il conflitto viene generato solo da chi non è capace di accogliere realmente le opinioni diverse dell’altro. Perché in realtà, come abbiamo detto, la diversità dei punti di vista aggiunge valore oggettivo all’azienda anche in termini di profitto.
Basta semplicemente spogliarsi di tutti i pregiudizi che si possono avere sulle diverse categorie di persone come uomo-donna, etero-omosessuale, italiano-straniero. Questo, e solo questo, è ciò che permette l’apertura alle diversità per garantire una selezione equa e non discriminatoria.
Per fare ciò, sono stati sperimentati nuovi metodi di selezione, come ad esempio il sistema di monitoraggio dei candidati ATS o DEI Analytics. Questo metodo, composto di tre fasi, permette di fornire dei dati efficaci sul processo di selezione da condividere e discutere successivamente con i manager.
Si devono inoltre apportare alcuni accorgimenti nella selezione, come quello di usare un linguaggio inclusivo nelle offerte di lavoro. Ad esempio, «ci sono domande che non dovrebbero essere poste e informazioni che non dovrebbero essere richieste (fotografia, nome, età, hobby…) per evitare un approccio inconsapevolmente soggettivo da parte del recruiter».
Occorre solo essere aperti, cioè basta eliminare tutti i pregiudizi che possiamo avere davanti un candidato.
Ma, in realtà, non si può accogliere la diversità senza avere dei pregiudizi. Non possiamo essere delle tabulae rasae. Piuttosto, occorre rilevare i pregiudizi e saperli come propri. Questo è ciò che permette una reale apertura. È come se si volesse accogliere un ospite in casa propria, ma questa casa è vuota: per accogliere al meglio un ospite, infatti, non possiamo non farlo sedere su un buon divano. Certamente, poi, affinché il divano sia buono, dobbiamo cambiare eventualmente il divano del vecchio pregiudizio.
Tuttavia, è sufficiente spogliarsi di tutti i pregiudizi per non considerare, ad esempio, una persona in maternità un problema? Se per un’azienda può essere più facile, per un titolare di un piccolo studio che deve cambiare un Addetto Payroll nell’immediato per far rientrare i costi di bilancio, è così ingenua la situazione, in realtà difficile, in cui si venisse a trovare, se dovesse scegliere tra un uomo disponibile nei giorni immediatamente successivi e una donna in maternità ancora per i successivi 3 mesi?
CONCLUSIONE
L’apertura alla diversità non è qualcosa che può essere imposto, o che nasce dall’eliminazione dei pregiudizi. Ma nasce dalla consapevolezza dei propri pregiudizi, il che è ciò che garantisce reale apertura. E anche nella condizione di apertura non si può prescindere comunque da una valutazione consapevole di ogni singola e specifica situazione, a partire dai suoi problemi reali. Infatti, non si può concretizzare l’inclusione della diversità, se prima non si coglie la diversità come valore. Ma, se per cogliere la diversità come valore, bisogna superare i propri limiti pregiudiziali, occorre anche conoscere bene cosa c’è al di qua di quel limite. Ne va della nostra identità.
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